Modi di dire siciliani e messinesi
Le espressioni dialettali sono numerosissime ed è bene conoscerne qualcuna, sia che ci si trovi a Messina per una vacanza, sia per motivi di lavoro.
I modi di dire messinesi e le radici siciliane
Un turista che voglia visitare Messina sarà certamente accolto dal tipico calore siciliano e resterà colpito dalle inevitabili differenze culturali e dai coloriti modi di dire siciliani e messinesi in particolare. L’accento messinese è meno marcato di quello palermitano, ma è altrettanto orecchiabile, sebbene più dolce.
Al di là della cadenza tipica di Messina, esiste un altro forte elemento caratterizzante: l’uso del dialetto e delle espressioni tipiche messinesi. Parole ed espressioni dialettali sono molto utilizzate da un gran numero di persone, a prescindere dalla propria professione, ceto e tenore di vita.
Il dialetto e i modi di dire messinesi sono un modo in cui le persone restano ancorate alle proprie origini siciliane. Alcune di queste espressioni sono davvero interessanti e vale la pena di condividerle e spiegarle.
Proverbi siciliani e messinesi
I modi di dire siciliani hanno spesso origini antiche, talvolta risalenti a tempi in cui la trinacria era spesso invasa da popolazioni straniere e, pertanto, hanno in sé una sorta di pessimismo cosmico che a volte fa sorridere, altre riflettere.
“A Missina, sciroccu, piscistoccu e malanova non mancunu mai“
Traduzione: A Messina, il vento, il pesce stocco e la sfortuna non mancano mai.
Commento: Un’espressione che ironizza sul fatto che la sfortuna sia un “prodotto tipico” messinese, immancabile tanto quanto il vento e il pesce stocco. Potremmo definire questo proverbio come una sorta di Legge di Murphy ante litteram. La legge di Murphy dice: se qualcosa potrà andare storto, lo farà.
“Cu nasci tunnu non pò moriri quadratu”
Traduzione: Chi nasce tondo, non può morire quadrato.
Significato: Le persone non cambiano mai.
Commento: Da questo modo di dire siciliano si deduce un pessimismo marcato, secondo il quale non vi è alcuna speranza di redenzione da parte di nessuno. È facile ripensare anche agli scrittori tipici del verismo siciliano, come Giovanni Verga. L’intero romanzo I Malavoglia è l’esasperazione del concetto racchiuso in questo modo di dire: nonostante tutta la buona volontà, la famiglia protagonista del libro, non riuscirà mai a uscire dalla sua condizione originale di povertà e disagio.
“Cuntari quantu u dui i coppi quannu a briscola è a spadi.”
Traduzione: Valere quanto il due di coppe, quando la briscola è di spade
Significato: Non valere nulla.
Commento: In questo simpatico modo di dire si fa riferimento al noto gioco di carte popolare, la briscola. In questo gioco, tuttora molto diffuso, il due è la carta che vale meno di tutte. Il modo di dire siciliano ci tiene a precisare che non si tratta del due del seme della briscola, che avrebbe invece un certo valore, ma di un due qualsiasi, del tutto inutile.
“Cu li amici e cu li parienti un ci accattari e vinniri nenti“
Traduzione: Con gli amici e con i parenti non devi vendere né comprare nulla.
Commento: Questo proverbio è un monito a non avere alcun rapporto commerciale e professionale con persone a cui si è particolarmente legate, come gli amici o i parenti. Il rischio, infatti, è quello che qualcosa vada storto e che le conseguenze finiscano poi per rovinare il rapporto di affetto originale. A ben vedere, nonostante la natura pessimista, questo suggerimento ha un intento positivo: si vogliono tutelare i rapporti personali, più importanti degli affari.
“L’aceddu ‘nta jaggia o canta pi invidia o canta pi raggia“
Traduzione: L’uccello in gabbia canta per l’invidia oppure per la rabbia
Commento: Questo proverbio messinese fa un bellissimo paragone con il mondo animale per indicare che una persona che parla male di qualcuno lo fa, sostanzialmente, per invidia e insoddisfazione. Un uccellino confinato in una gabbia “canta” (quindi “sparla”) senza gioia, ma per frustrazione. Allo stesso modo, i pettegolezzi sono spesso indice di un fastidio che nulla ha a che vedere con la persona oggetto della maldicenza. Un proverbio tutto sommato divertente che riesce a minimizzare le cattive voci rivolte verso di sé o gli altri.
Modi di dire siciliani e messinesi
“Fici cchiù dannu du cincu i frivaru“
Traduzione: Ha fatto più danni del cinque di febbraio.
Commento: Il riferimento in questo caso è al terremoto del 5 febbraio 1783, disastro che ha raso al suolo Messina. Questa espressione utilizza la figura retorica dell’iperbole per indicare che una persona ha combinato un sacco di guai o creato gravi problemi. L’Etna rende la Sicilia una zona sismica ad alto rischio e Messina non fa eccezione. Da notare come, col tempo, si riesca a esorcizzare un’autentica catastrofe utilizzandola come un modo di dire simpatico.
“U sceccu nto linzolu”
Traduzione: l’asino sotto il lenzuolo
Commento: Questa espressione tipica siciliana e messinese presenta un quadro originale: un asino, coperto da un lenzuolo. Chiaramente, sebbene sia coperto da un lenzuolo, risulta immediatamente chiaro cosa si cela al di sotto del lenzuolo. Questa espressione viene rivolta a chi fa il finto tonto simulando un’ingenuità improbabile. Proprio come una persona che, dinanzi a un asino coperto da un lenzuolo, si chieda cosa mai si nasconda al di sotto.
“Essiri cchiù assai di cani ‘i Brasi”
Traduzione: Essere più dei cani di Biagio
Commento: È un’espressione che indica un gran numero di persone. L’aneddoto che probabilmente sta dietro questo originalissimo modo di dire messinese, riguarda un buffo equivoco. A quanto pare nel XVII secolo un viceré spagnolo (Blas, italianizzato in Biagio), inviò in Spagna una lettera al fratello, chiedendogli “2 o 3 cani da caccia“. Sfortunatamente, suddetto fratello confuse la “o” di “2 o 3” per uno zero, e pertanto fece sbarcare a Messina non due, non tre, ma ben 203 cani da caccia.
Una parola speciale
Le espressioni tipiche e i modi di dire siciliani e Messinesi sono innumerevoli e potremmo elencarne davvero tantissimi, di noti e meno noti. Tuttavia preferiamo chiudere quest’articolo indicando una parola che a Messina viene utilizzata molto di frequente, anche quando si parla in italiano. Spesso nemmeno ci si rende conto di “sconfinare” dal dizionario per adagiarsi sulle tipiche espressioni dialettali, soprattutto quando si tratta di un’unica parola. Questa parola non è propriamente intraducibile, ma ha una sua sfumatura peculiare caratteristica. Nessun Messinese, nel caso specifico, potrebbe mai veramente essere soddisfatto di una semplice traduzione.
La parola in questione è CAMURRIA.
L’accento cade sulla I e significa fastidio, seccatura. Si tratta però di un fastidio assai intenso, di una seccatura duratura, ripetuta e, ogni volta, spiacevolissima. Tutto questo non può essere reso da una singola parola della lingua italiana, ne servirebbero molte e comunque mancherebbe ancora qualcosa.
Immaginate un’interminabile e tediosissima procedura burocratica per la quale si viene rimbalzati da un ufficio all’altro, facendo una coda dietro l’altra per poi scoprire dopo svariate ore, come in un incubo kafkiano, che bisogna ricominciare da capo.
Ecco. Quella è una camurria.